tubulina. Credito:Università di Twente
I ricercatori dell'istituto di ricerca MESA+ dell'Università di Twente stanno costruendo macchine molecolari in grado di esercitare una forza misurabile su scala nanometrica e in un ambiente fluido. Il design di queste macchine si basa su tubuli supramolecolari autoassemblanti che possono accumulare e immagazzinare energia dalla luce e convertirla in un lavoro meccanico. I tubuli sono stati ispirati dalle strutture biomolecolari che trasportano il carico molecolare nelle cellule. La ricerca è stata pubblicata sulla principale rivista scientifica PNAS .
Le macchine molecolari – dispositivi di dimensioni nanometriche che convertono l'energia in movimento – sono stati un tema caldo globale da quando Ben Feringa ha vinto il premio Nobel lo scorso anno. Si tratta di un campo di ricerca relativamente nuovo, ma in natura le macchine molecolari si trovano ovunque; ad esempio, sono responsabili della contrazione muscolare, locomozione negli spermatozoi e nei batteri, divisione cellulare, e la replicazione del DNA all'interno del nucleo cellulare.
Autoassemblaggio
A causa della loro scala estremamente ridotta, e il fatto che la maggior parte delle macchine molecolari artificiali può funzionare solo se sospese in un liquido, è generalmente impossibile raccogliere la forza che possono esercitare mentre operano in un ambiente "tempestoso" con l'onnipresente (ubiquitario) moto browniano (movimento casuale di particelle sospese in un fluido). Tuttavia, rendere misurabili queste forze è esattamente ciò che serve per metterle in pratica. Tibor Kudernac, Ricercatore dell'Università di Twente ed ex collega di Ben Feringa, si prefisse quindi l'obiettivo di sviluppare macchine molecolari sintetiche la cui potenza potesse essere misurata e messa in uso. Per realizzare questo, si diresse verso la chimica supramolecolare, e autoassemblaggio in particolare. Kudernac e i suoi co-ricercatori hanno sviluppato blocchi chimici che si raggruppano naturalmente insieme per formare tubuli, strutture tubolari lunghe fino a un micrometro e larghe pochi nanometri. Quando questi tubuli sono illuminati dalla luce, le sollecitazioni meccaniche si accumulano nella loro struttura fino a quando non viene superato un valore di soglia e la struttura crolla bruscamente, liberando l'energia. In questo modo, i ricercatori sono riusciti a convertire l'energia luminosa in un'energia di deformazione immagazzinata che successivamente alimenta la risposta meccanica specifica.