I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Structure, mostrano come questa particolare proteina cambia forma quando il virus infetta una cellula e identificano possibili bersagli per potenziali terapie.
"La proteina nucleocapside del virus Ebola svolge un ruolo importante nel processo di replicazione del virus", afferma la responsabile dello studio Rumela Chakrabarti, bioingegnere e professore associato presso la Jacobs School of Engineering e la Skaggs School of Pharmacy and Pharmaceutical Sciences dell'UC San Diego. “Questa proteina incapsula il materiale genetico del virus. È come un pluriball per l’RNA del virus, che lo protegge dai danni e dalla risposta immunitaria della cellula. Più comprendiamo la struttura di questa proteina e il suo funzionamento, maggiori saranno le possibilità di trovare nuovi modi per curare il virus”.
Chakrabarti e il suo team hanno scelto di studiare la proteina del nucleocapside dell’Ebola utilizzando simulazioni specializzate chiamate dinamiche molecolari di “campionamento avanzato”. Questo approccio computazionale consente agli scienziati di simulare i movimenti dei singoli atomi nella proteina, rivelando come la proteina cambia nel tempo ed esponendo i punti deboli nella struttura della proteina.
Il team ha eseguito queste estese simulazioni al computer su Stampede2. I ricercatori affermano che avevano bisogno della potenza e della scalabilità di Stampede2 per eseguire migliaia di simulazioni, ognuna delle quali richiedeva diversi giorni.
“Il sistema Stampede2 ci ha permesso di simulare grandi cambiamenti conformazionali della struttura proteica, che forniscono informazioni su come potrebbe comportarsi all’interno di una cellula infetta”, afferma Chakrabarti.
Le simulazioni hanno rivelato diversi possibili bersagli per potenziali nuove terapie, comprese le regioni flessibili della proteina che cambiano maggiormente durante l’infezione. Queste aree potrebbero essere prese di mira da piccole molecole o anticorpi, impedendo loro di svolgere la loro funzione e, in definitiva, proteggendo la cellula ospite dalle infezioni.
“Il nostro prossimo passo sarà quello di progettare farmaci specifici o molecole simili a farmaci che possano legarsi a queste tasche per ridurre la replicazione virale e l’infettività”, afferma Chakrabarti.
Questa ricerca è stata sostenuta in parte dal National Institutes of Health e dal Dipartimento della Difesa. I calcoli sono stati eseguiti sul sistema Stampede2 presso il TACC.