Credito:Biblioteca nazionale della Nuova Zelanda, CC BY-NC-ND
I modi in cui la Nuova Zelanda ricorda la colonizzazione europea sono cambiati notevolmente negli ultimi anni. I critici hanno scalfito l'immagine pubblica del capitano James Cook, le guerre della Nuova Zelanda sono state incluse nel nuovo curriculum di storia obbligatorio e le strade in onore di personaggi coloniali sono state ribattezzate.
Tuttavia, mentre la Nuova Zelanda sta lentamente riconoscendo le ingiustizie storiche subite dai Maori, la stessa rivalutazione non si è estesa all'ambiente naturale. La drammatica trasformazione della "natura selvaggia e selvaggia" in "terra produttiva" da parte dei coloni europei nel 1800 continua ad essere ampiamente celebrata come testimonianza dell'ingegnosità e del duro lavoro dei kiwi.
La mia ricerca di prossima pubblicazione, basata su un'indagine su 1.100 persone, suggerisce che questa narrativa potrebbe essere in parte responsabile dell'apparente compiacimento dei neozelandesi nei confronti del cambiamento climatico rispetto ad altri paesi.
In sostanza, appaiono coloro che rifiutano è più probabile che la narrativa dell'"addomesticamento della natura" - e invece riconosca il 19 ° secolo come un periodo di distruzione ambientale - abbia quella che gli psicologi chiamano una "identità personale ambientale".
I risultati suggeriscono inoltre che cambiare il comportamento individuale come strategia per affrontare le minacce ambientali (come raccomandato nel rapporto 2021 della Commissione per il clima) potrebbe significare affrontare il modo in cui comunichiamo la storia del cambiamento ambientale nelle scuole, nei musei e nei siti del patrimonio pubblico.
In particolare, ciò potrebbe significare inquadrare ciò che accadde nel 1800 come più una perdita che un risultato.
Una storia di progresso o declino?
Prima dell'insediamento umano, Aotearoa Nuova Zelanda era stata isolata da altre masse continentali per circa 60 milioni di anni. Il risultato è stata l'evoluzione di un ecosistema unico, altamente vulnerabile ai disturbi.
I Maori arrivarono intorno al 1300 e portarono con sé mammiferi invasivi:il cane polinesiano (kurī) e il topo del Pacifico (kiore). Attraverso un incendio diffuso, Māori, intenzionalmente o accidentalmente, distrusse vaste aree di foresta nelle parti orientali più asciutte di Te Wai Pounamu (Isola del Sud) e Te Ika a Māui (Isola del Nord).
Inoltre, la ricerca archeologica suggerisce che un certo numero di specie di uccelli sono state cacciate fino all'estinzione, tra cui moa e adzebill.
I coloni europei iniziarono ad arrivare in gran numero dopo la firma del Trattato di Waitangi nel 1840. Sulla scia di accordi di acquisto (spesso dubbi), l'introduzione di leggi sulla proprietà privata e la confisca forzata, vaste aree di terra Maori finirono nelle mani degli europei.
Quello che seguì fu un classico esempio di quello che è stato chiamato "imperialismo ecologico". Gran parte della foresta rimanente è stata trasformata in pascolo per pecore e bovini. Le società di acclimatamento hanno introdotto altri animali e piante familiari dall'Europa.
Specie introdotte intenzionalmente e accidentalmente, come ermellini e ratti delle navi, hanno devastato la fauna selvatica nativa. Nel giro di pochi decenni dalla colonizzazione europea, diversi uccelli si estinsero, tra cui l'huia, il piopio e la civetta che ride. Il capitalismo europeo ha avuto anche un impatto devastante sulle popolazioni di foche e balene.
'Domare la natura':radura del cespuglio nel Coromandel, fine del XIX secolo. Credito:fotografo sconosciuto, tramite Wikimedia Commons
Un "passato utilizzabile"
Nonostante la lunga storia di cambiamenti ambientali, è la trasformazione del paesaggio nel 1800 che occupa il posto più importante nella memoria collettiva della Nuova Zelanda, rispetto ad altri periodi. Il motivo è abbastanza semplice:l'era fornisce quello che gli studiosi della memoria chiamano un "passato utilizzabile", utilizzabile perché aiuta a costruire un'identità distintiva della Nuova Zelanda nel presente.
Simile ad eventi storici come la firma del Trattato di Waitangi e la campagna di Gallipoli, l'"addomesticamento della natura" nell'800 è ricordata come un'esperienza che ha forgiato la nazione. I coloni europei, in particolare i boscimani che hanno disboscato la foresta per far posto a fattorie e pascoli, sono descritti come il prototipo del neozelandese.
Il loro duro lavoro e l'ingegnosità del "filo numero otto" definiscono ancora oggi le versioni popolari del carattere nazionale. E i media continuano a ritrarre la campagna come la "vera" Nuova Zelanda, anche in pubblicità e programmi televisivi.
It should be stressed this is largely a narrative of the European settler majority. For Māori communities, the transformation of the landscape under European colonialism is more a story of decline than progress. Māori memories of environmental change in the 1800s are intertwined with memories of colonial violence and dispossession.
Memory shapes environmental attitudes
My survey sought to explore whether different interpretations of New Zealand's environmental history shape people's attitudes towards nature, and whether those interpretations make it more or less likely that people see themselves as someone who acts in an "environmentally friendly" way—the environmental self-identity mentioned earlier.
A key finding is that those respondents who pinpointed the 1800s—rather than Māori settlement or the second half of the 20th century—as the most destructive period of environmental change were most likely to describe themselves as environmentally friendly.
For Māori respondents, this is perhaps not entirely surprising. An awareness of injustices suffered in the 1800s tends to go hand in hand with a strong spiritual connection with the land and a sense of responsibility towards nature.
More significant is that European New Zealanders who recognise the environmentally destructive role of 19th-century settlers were more likely to identify themselves as environmentally friendly than those who point to other periods in history.
It appears those European New Zealanders who acknowledge the environmental destruction caused by their ancestors feel a greater responsibility to fix these mistakes in the present.
How we remember the past matters
To encourage more pro-environmental behaviours, the survey results suggest New Zealand needs to move away from narratives that glorify environmental change of the early colonial era as an expression of national character.
Such interpretations of history reinforce ideas that get in the way of achieving a sustainable future. They promote a strongly utilitarian perspective on our relationship with the environment. Nature is reduced to a commodity to be exploited in the pursuit of human interests.
New Zealand has taken the first steps to work through its violent political past, but this process also needs to include colonialism's devastating effects on the environment.
Rather than remembering the transformation of the landscape by European settlers as a nation-defining moment, public history should encourage an examination of human complicity in the destruction of nature. Hopefully, this can help transform such understanding into present-day environmental action.