Pochi argomenti hanno suscitato così tante opinioni e titoli polarizzati come le colture petrolifere. Queste controversie riguardano la conservazione, i diritti umani e la nutrizione. Cosa rivelano le prove?
Un rapporto della Task Force per le colture petrolifere dell’IUCN approfondisce gli impatti ambientali, sociali, economici e nutrizionali, spesso controversi, delle colture oleose vegetali. La loro ricerca sfata il mito secondo cui colture come la palma da olio, la soia o la colza siano intrinsecamente buone o cattive. Invece, il rapporto rivela che tutto dipende dal modo in cui questi raccolti vengono coltivati, lavorati e commercializzati. Sono le pratiche, non le piante, a fare la differenza.
L’olio di palma e la soia hanno una reputazione particolarmente negativa. Ma se è vero che possono avere impatti devastanti sulle foreste tropicali e sulle popolazioni indigene, possono anche avere dei benefici, soprattutto dove vengono coltivati da famiglie locali e piccoli proprietari terrieri secondo standard che non deforestano, e le alternative potrebbero essere molto peggiori.
All'estremità opposta dello spettro, l'olio d'oliva è spesso visto come una coltura sana e tradizionale, ma laddove viene coltivato in modo intensivo, anch'esso può avere gravi impatti negativi sulle risorse idriche, sulla biodiversità e sulla popolazione locale.
Le colture oleose occupano il 37% di tutti i terreni coltivati e sono una delle principali cause della perdita di biodiversità. La produzione, la lavorazione e il commercio di molte di queste colture sono associati a violazioni dei diritti umani, come il lavoro forzato, l’accaparramento di terre o gli impatti negativi sulla salute derivanti dai prodotti agrochimici. Ad esempio, è stato riferito che ogni brasiliano consuma 7 litri di prodotti chimici per l'agricoltura ogni anno, in gran parte a causa di sistemi di produzione intensivi che utilizzano colture geneticamente modificate e resistenti agli erbicidi.