Secondo gli scienziati dell'Istituto di scienze biologiche e ambientali dell'Università di Aberdeen, la rivelazione è significativa perché apre la porta al potenziale utilizzo delle alghe nell'abalone e in altri tipi di acquacoltura per ridurre la dipendenza dalla farina di pesce e da altri ingredienti non sostenibili per mangimi.
Lo studio, condotto dalla dottoressa Eirini Sarropoulou e pubblicato sulla rivista Frontiers in Microbiology, ha analizzato i tratti digestivi dell'abalone rosso Haliotis rufescens per identificare e caratterizzare la comunità microbica responsabile della digestione delle alghe Palmaria palmata.
Utilizzando una serie di tecniche molecolari, il team ha identificato più di 700 unità tassonomiche operative (OTU), che rappresentano diversi tipi di batteri e archaea, nelle viscere dell'abalone.
Ulteriori analisi hanno mostrato che la maggior parte della comunità microbica apparteneva ai phyla batterici Bacteroidetes e Firmicutes, che sono comunemente associati alla digestione di carboidrati complessi come quelli presenti nelle alghe.
Inoltre, i ricercatori hanno identificato enzimi e percorsi metabolici specifici nel microbiota intestinale responsabili della degradazione dei polisaccaridi, delle proteine e dei lipidi delle alghe.
Si prevede che questa comprensione dettagliata della digestione microbica delle alghe sostenga gli sforzi volti a progettare e ottimizzare l’alimentazione acquatica sostenibile per l’abalone e altre specie marine.
Lo studio evidenzia anche il potenziale di sfruttare i processi microbici naturali per abbattere le alghe marine e convertirle in prodotti preziosi come biocarburanti, prodotti farmaceutici e bioplastiche.