Catherine Clark e la copertina di "Paris and the Cliché of History" Credit:Massachusetts Institute of Technology
Immagina una foto di Parigi che hai già visto, che sia la Torre Eiffel o un monello che trasporta una baguette. Hai mai considerato la storia dietro quella foto, perché è stata scattata, e perché è in circolazione oggi?
Se non l'hai fatto, La studiosa del MIT Catherine Clark lo ha certamente fatto. Clark, professore associato di studi francesi nella sezione Global Studies and Languages del MIT, ha guardato decine di migliaia di foto di Parigi nel corso degli anni. Ora, in un nuovo libro, Clark dà uno sguardo approfondito alla storia raccontata attraverso le fotografie di Parigi stessa, come un modo per comprendere come l'influenza della fotografia sulla nostra immaginazione storica sia cambiata dalle sue origini del 19° secolo.
Dopotutto, Parigi è il luogo in cui Louis Daguerre svelò il suo metodo fotografico "dagherrotipico" nel 1839, e da allora la gente ha puntato le telecamere sulla città. All'inizio, molti parigini stavano semplicemente documentando la loro città. Nel XX secolo, però, La fotografia parigina è diventata più consapevole. Molte foto della seconda guerra mondiale di Parigi, ad esempio, sono immagini messe in scena destinate a lucidare l'idea della resistenza francese, con precisione o meno.
"Guardare le vecchie fotografie ha una sua storia, " dice Clark. "Il libro ripercorre i modi in cui si evolve:come le idee delle persone su ciò che farà la fotografia, e fare per lo studio della storia, i cambiamenti."
il libro di Clark, "Parigi e il cliché della storia, " viene pubblicato questa settimana dalla Oxford University Press. Il titolo gioca sul mondo "cliché, " che in francese si riferisce anche alle lastre di vetro che fungevano da negativi fotografici nei primi giorni del medium, così come lastre da stampa in metallo che combinavano immagini e caratteri.
All'inizio:copiare il mondo
Nel racconto di Clark, Parigi ha visto almeno cinque fasi storiche distinte durante le quali si è evoluto lo scopo di fotografare la città.
Il primo avvenne intorno al 1860, mentre Parigi attraversava una radicale trasformazione fisica guidata da Georges-Eugene Haussmann, che ha creato lo schema dei grandi viali e della chiara geometria urbana che ora definisce gran parte della città. Mentre demoliva gran parte della vecchia Parigi, però, Haussmann ha cercato di raccontarlo attraverso il fotografo ufficiale della città, Carlo Marville. Col tempo, il Musée Carnavalet della città è stato anche un punto focale per questo tipo di sforzo, l'acquisizione di una vasta collezione di immagini di Parigi.
"Parte della ricostruzione di Parigi per essere una capitale imperiale e sede del potere è stata preservare la sua storia, " spiega Clark.
In questa fase, lei nota, la fotografia era spesso semplicemente documentaria, come mezzo, sostituendo dipinti e stampe come nostra rappresentazione visiva essenziale del mondo.
"Nel 19° secolo c'erano dibattiti su cosa sarebbero state usate le foto:per la scienza, per l'arte, ma anche, per chi gestisce istituzioni storiche, " osserva Clark. "La prima cosa che fanno è solo catalogare gli oggetti. Le fotografie sono state immaginate come una copia uno a uno di qualcosa nel mondo".
Questo è cambiato. Una seconda e distinta fase della storia fotografica di Parigi, Clark pensa, ambientato negli anni '20. Le foto ora sono diventate oggetto di nostalgia per i francesi, che stavano affrontando il trauma della prima guerra mondiale, quando la Francia ha subito milioni di vittime e l'ordine globale è andato fuori controllo.
"È questo grande momento di sconvolgimento sociale, non solo perché molte persone sono morte, ma poiché il mondo sembrava crollare, "Clark ha detto. "La gente sentiva che c'era una rottura, e non potrebbero mai tornare a ciò che esisteva prima, tranne ora, potevano vedere com'era il passato, perché avevano fotografie. E così un nuovo paradigma nasce da questo, dove le fotografie sono frammenti di tempo perduto. E questo è un modo davvero potente di pensare alle fotografie".
Parigi in guerra:creare narrazioni storiche
La guerra produsse anche una terza fase distinta della fotografia a Parigi, nel racconto di Clark:la seconda guerra mondiale, spesso rappresentato attraverso immagini di combattenti della resistenza parigina apparentemente eroici in momenti di azione drammatica. Ma come nota Clark, molte di queste foto sono state chiaramente allestite. Considera una foto che analizza nel libro, in cui tre cittadini francesi guardano attraverso una finestra, con uno che punta fuori un fucile. Quasi certamente non è uno scorcio di un vero combattimento:gli uomini nella foto sono troppo esposti e disposti in modo ordinato.
Oppure scatta qualche foto che ritrae parigini comuni alle barricate nelle strade, che sarebbe stata una tattica inutile di fronte ai carri armati tedeschi. Ma una barricata è un tropo storico che significa resistenza. Di qualche grado, poi, the people in these Parisian photos were "demonstrating political allegiances and performing a certain type of wartime action, " Clark says. "Militarily, the liberation of Paris doesn't matter that much, but in terms of what it symbolizes, it really matters."
Inoltre, in such resistance photos, we see a familiar process at work, in which people are self-consciously thinking about how the images will be viewed in the future.
"The way in which [the war] was going to be remembered was already being performed on the ground, " Clark says. "It's not like things happen, and then we create historical narratives about them. We're already creating historical narratives as we act. These photos published in newspapers, magazines, and books are often in turn the way people learn about such events."
Plus ça change
Clark believes there are at least two other notable moments when Parisian photography evolved in significant ways. One came in the run-up to city-wide celebrations, in 1951, of Paris' 2, 000th anniversary. Around this time, she observes, Paris photos became more oriented around ordinary people—working-class men, donne, and children in everyday life.
"The problem in Paris in 1950 and 1951 is that the city doesn't look grand, " Clark says. "It's kind of falling apart in a lot of places. So what do you do when the city doesn't look great, but you know that it is great? You create narratives about other types of greatness. And I think that's one reason for this nostalgia for the Parisian working classes in 1950."
A rather different burst of Parisian photography occurred around 1970s, Clark notes, in the form of a city-sanctioned amateur photography contest that produced 100, 000 images of the city. (Clark estimates she has looked at about 15, 000 of them.) Here too, Paris officials were trying to capture the city at a moment of physical change, but letting the people do it.
"It's a great echo for this 1860 moment, " Clark says. "Paris is being modernized again, autostrade, cars along the banks of the Seine, new high-rises, this feeling of needing to capture what's being destroyed. [And] in the 1970s, there's a real sense that the best people to photograph the city would be people who love the city and believe in it. There's just so much diversity, so many ways of seeing the city in there."
In the bigger historical picture, Clark thinks, Paris is, da una parte, ideally suited to an analysis of its photographic self-image—yet hardly the only place where this type of study can be performed.
"The French think of photography as their own invention, and there is a national heritage element to it, " Clark says. "There's a powerful archival impulse in France … and the historical institutions in Paris are some of the earliest."
D'altra parte, Clark notes, her study is about how photography shaped the historical imagination, and the general concept that Parisian photographic history changed at moment of dramatic historical upheaval may well apply to other cities, pure.
"I would love to see someone do a similar study in other places, " Clark says. "After all, in 1839, photography was given to the world by the French government, but the rest of their world made it their own."