• Home
  • Chimica
  • Astronomia
  • Energia
  • Natura
  • Biologia
  • Fisica
  • Elettronica
  •  science >> Scienza >  >> Altro
    Un ricercatore studia gli effetti della condivisione online e i rischi per i bambini

    Le nuove scoperte di un ricercatore della West Virginia University potrebbero far pensare ai genitori due volte prima di pubblicare le foto dei loro figli sui social media. Non solo solleva domande sul consenso e sulla privacy, ma lascia anche i bambini vulnerabili ai predatori online, ha determinato il ricercatore. Credito:(Foto WVU/Jennifer Shephard)

    Con il ritorno a scuola in pieno svolgimento, i genitori potrebbero voler pensarci due volte prima di pubblicare le foto del "primo giorno di lezione" dei loro giovani sui social media, sulla base della ricerca della West Virginia University.

    Sebbene la pubblicazione di foto di bambini, nota anche come "condivisione", possa sembrare un modo semplice e divertente per condividerle, gli studi di Laurel Cook, ricercatrice di marketing sociale e politiche pubbliche, mostrano che la condivisione di tali informazioni comporta rischi significativi.

    Cook, professore associato di marketing presso il John Chambers College of Business and Economics, ha studiato questi rischi con i suoi colleghi e la sua ricerca, pubblicata su The Journal of Consumer Affairs , rivela che la condivisione è un problema molto più pervasivo di quanto la maggior parte dei caregiver creda. Non solo solleva domande sul consenso e sulla privacy, ma lascia anche i bambini vulnerabili ai predatori online.

    Perché condividiamo

    La voglia di condividere viene naturale.

    "È un po' come avere il diritto di vantarsi", ha detto Cook. "Ma è la condivisione a un pubblico molto più ampio".

    C'è anche una componente chimica. Le interazioni sociali positive, un commento o un "mi piace" su un post, possono innescare il rilascio di dopamina nel cervello. La dopamina provoca una sensazione di ricompensa che, a sua volta, rafforza il comportamento. Più "Mi piace" riceve un utente, più è probabile che pubblichi di nuovo.

    Anche la pandemia ha cambiato il modo in cui gli americani usano i social media. Le interazioni virtuali hanno sostituito quelle faccia a faccia sia per adulti che per bambini. Questi, a loro volta, hanno portato a una maggiore vulnerabilità. Cook ha affermato che molti genitori non sono cresciuti con Internet e non sono consapevoli dei rischi, il più grande dei quali è il comportamento predatorio.

    "Gran parte del foraggio per i pedofili non viene prodotto", ha detto. "Viene dai genitori, da questi post pubblici".

    Presenta un'analogia semplice e inquietante:"Se vedessimo un ragazzo a caso sbirciare nella finestra di nostro figlio, quale sarebbe la nostra reazione? Pensa a quella situazione online. L'unica differenza è il regno fisico rispetto a quello virtuale".

    I genitori e gli operatori sanitari spesso presumono che le rigide impostazioni sulla privacy limiteranno il pubblico del post, ma una volta che una foto è online, chiunque visualizzi l'immagine può salvarla e/o condividerla. Allo stesso modo, le scuole e i campi spesso pubblicano foto di studenti come parte del materiale promozionale e anche loro potrebbero non essere consapevoli dei rischi.

    Oltre alla sicurezza di un bambino, la condivisione solleva interrogativi sul consenso. A differenza dei genitori preoccupati per la privacy, molti influencer dei social media includono i loro figli nei loro contenuti a scopo di lucro.

    "È molto ovvio che non c'è un vero consenso in corso con molti di questi bambini", ha detto Cook. "L'opinione che io e i miei colleghi abbiamo è che se il bambino non è in grado di capire e dare il consenso, qualunque sia l'età per quel bambino, allora tutte quelle informazioni dovrebbero probabilmente essere mantenute private".

    Suggerisce di non pubblicare nulla di troppo personale; eventi come feste di compleanno possono essere condivisi a posteriori e gli operatori sanitari dovrebbero fare attenzione a non rivelare date, orari o luoghi di tali eventi.

    Raccolta dati

    Sia le piattaforme di social media che i siti Web di terzi raccolgono dati sugli utenti. Questi dati possono provenire da contenuti condivisi e vengono utilizzati per tracciare informazioni di identificazione personale. Collection may begin before a child is even born and creates a digital footprint that follows them through their lives.

    "A lot more people have access to information about a minor than I think the world knows," Cook said.

    Personal identifiable information can include name, Social Security number and birthdate, but not all collected data is demographic. Some is psychographic, describing people in terms of their psychological attributes. This might include a user's personality, the kind of sites they frequent or their buying behaviors.

    Nevertheless, it's not a child's future search engine results that worry researchers the most.

    "It's the fact that No. 1, there's zero consent," Cook said. "No. 2, sharenting information may be used for vile purposes in some cases, and there's a commerce component to that. So, there is money exchanging hands for these sorts of images and videos. And then No. 3, now it has become even more socially accepted to be commodified. Through sponsorships, parent influencers are now profiting from using images of their children online."

    Dark design

    In conjunction with her research on sharenting, Cook has been looking at dark design, an intentionally deceptive user interface designed to manipulate users into giving consent to data collection, among other things. This manipulation may be as simple as color choices. A user may visit a site like Instagram and be presented with two buttons. Button A, which asks for permission to personalize ads, is bright blue and sounds tailored to the user. Button B, which frames a choice as less personalized, is dark and easy to overlook.

    Alternatively, dark design may trick the user, who may be a child, into sharing their personal information, which in turn can be used to encourage them to sign up for emails and services or make online purchases. Cook said a child's digital footprint may include harvested nuggets of information like their Little League team, their love of certain foods and their favorite apps.

    Shaping policy

    Regulators and policymakers are just beginning to understand how much data exists for each user.

    "That's why I'm working with a variety of legal experts on this project, because this idea of consent is still legally debated," Cook said. "Policymakers in the U.K. and the U.S. need to have a shared understanding of what it means to consent."

    Such laws in the European Union are stricter than those in the U.S., where data collection is largely underregulated. However, she's encouraged to see U.S. lawmakers actively relying on empirical research and applying it to policymaking.

    Cook's team also reached out to psychology and sociology experts for collaboration, though some were wary of working with a marketer.

    "A lot of people think of marketing as bad, like you're trying to push a product."

    Once she explained the purpose behind her inquiry, however, collaborators joined the discussion. The team now works with international advocacy groups to gain a better understanding of the issues and disseminate information.

    Ultimately, Cook's goal is to help parents and caregivers navigate through the challenges of sharenting.

    "That's what makes me wake up excited every day, to know that my work isn't just theory," she said. "It's something that might move the dial a little bit, to help things change or at least bring awareness to the situation and come up with solutions. I want this environment for children and teens to be addressed. I'm very passionate about it." + Esplora ulteriormente

    More than 80% of children have an online presence by the age of two




    © Scienza https://it.scienceaq.com